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Chiesa di
SAN PIETRO DI ORLINO

Pregassona , Ticino (SVIZZERA)

STORIA DELLA CHIESA

L’Oratorio dedicato ai Santi Pietro e Paolo, noto come "Chiesina", situato a Orlino, frazione di Pregassona, oggi quartiere di Lugano. L’Oratorio si trova in una posizione sopraelevata rispetto alla strada cantonale e domina il paesaggio circostante, caratterizzato da verde e moderni edifici, che evidenziano il contrasto con la sua antichità.

Oggi l’Oratorio di San Pietro, con il suo valore architettonico e artistico, è riconosciuto come patrimonio culturale dal Canton Ticino, fin dal 1911, e fa parte di una zona di interesse archeologico, grazie anche alle tombe ritrovate nei terreni circostanti.

L’edificio, di semplice stile romanico, presenta una struttura povera che rispecchia la condizione modesta delle famiglie che abitavano la zona fino alla Seconda Guerra Mondiale. La chiesa ha una forma rettangolare orientata a nord-est, un'abside semicircolare e un piccolo sagrato pavimentato. Le pareti esterne, segnate dal tempo, mostrano tracce di intonaco originale e testimoniano la lunga storia dell’Oratorio. La facciata principale è rivolta verso la città, con un portale sormontato da un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e i Santi Pietro e Paolo. Sul lato orientale si trova una porta secondaria, mentre sul lato occidentale vi è una sagrestia, aggiunta nel XIX secolo.

All’interno, il soffitto della navata unica è sostenuto da una struttura lignea in castagno e quercia, con travi sagomate a mano. Il coro è a volta a crociera, e sulle pareti e sul soffitto si possono ammirare affreschi quattrocenteschi dei pittori Cristoforo e Nicolao da Seregno.

 

Gli affreschi, di stile tardo-gotico, rappresentano un importante patrimonio artistico che arricchisce l’edificio. La struttura dell’altare è stata modificata nel XVI secolo, sostituendo il coro a tazza originario con un abside poligonale, con l’intento di creare più spazio per i fedeli e di adattare l’estetica della chiesa alle tendenze architettoniche rinascimentali del periodo.

L'Oratorio sembra risalire alla prima metà del XV secolo, anche se alcune ipotesi lo fanno risalire alla fine del XIV secolo.

 

Durante i restauri condotti nel 1968 e tra il 1983 e il 1984 sono emerse nuove informazioni sulla struttura originaria dell’edificio. Gli scavi hanno rivelato che l’Oratorio, in origine, era più piccolo e probabilmente di altezza inferiore rispetto all'attuale. Si ritiene che agli inizi fosse una semplice cappella, poi trasformata in una piccola chiesa nel Quattrocento, ulteriormente ampliata e rialzata un secolo dopo. L’abside attuale, di forma semicircolare, conserva fondamenta originali, mentre la navata è stata prolungata nel tempo.

L’ultimo importante restauro, realizzato tra il 1983 e il 1984, ha permesso di riscoprire e preservare gli affreschi medievali che erano stati danneggiati dall’umidità. Grazie al lavoro accurato dei restauratori, guidati da Luigi Gianola, gli affreschi sono stati riportati al loro splendore, eliminando lo strato di intonaco che li copriva e proteggendoli dalle infiltrazioni di umidità. Le pareti interne, un tempo colorate di rosa, ora appaiono levigate e prive di tinteggio, mentre la volta del coro conserva tracce di un azzurro sbiadito. Le indagini archeologiche hanno inoltre mostrato che, in origine, il pavimento era in terra battuta, successivamente lastricato con piastrelle di cotto.

Nonostante i lunghi periodi di abbandono, l’Oratorio è sempre stato un punto di riferimento per la comunità locale.

 

Nel corso del Novecento, soprattutto dopo gli Anni Trenta, l’edificio ha subito un progressivo deterioramento, con calcinacci che si staccavano dalle pareti e l’umidità che minacciava la stabilità della struttura. Tuttavia, la tradizione locale di celebrare la festa dei Santi Pietro e Paolo il 29 giugno ha mantenuto vivo il legame tra la chiesa e i suoi abitanti. Negli anni Sessanta, l'Oratorio ha ripreso vita grazie all'iniziativa di un devoto residente, che ha reintrodotto la recita del Rosario durante il mese di maggio e la celebrazione mensile della Messa. Negli anni successivi, eventi e attività per i bambini e i ragazzi della zona hanno ravvivato ulteriormente l’Oratorio, trasformandolo in un centro di socialità e di incontro.

Oggi l’Oratorio di San Pietro, con il suo valore architettonico e artistico, è riconosciuto come patrimonio culturale dal Canton Ticino e fa parte di una zona di interesse archeologico, grazie anche alle tombe ritrovate nei terreni circostanti. Questo edificio rappresenta un importante simbolo della storia e della tradizione di Orlino, Corte e Ligaino, ed è considerato un bene prezioso da preservare e tramandare.

Chiesa di San Pietro di Orlino
Chiesa di San Pietro di Orlino

PATRIMONIO ARTISTICO
della Chiesa di San Pietro e Paolo a Orlino

Testo tratto dal Libro
"San Pietro di Orlino"
Autore : Giorgio Pagani

La Chiesina ha subito l'incuria della gente e i danni del tempo. E a soffrirne maggiormente sono stati i suoi affreschi tardo-gotici. Se la struttura dell'edificio si è potuta consolidare e risanare, non è stato così per le preziose pitture. Ciò che si è scrostato o cancellato o indebolito è rimasto tale anche dopo gli interventi mirati eseguiti durante il restauro del 1984. Meglio di così non si poteva operare. Tutto ciò che doveva essere riscoperto, liberato dall'intonaco, dalla calce, dalle scialbature è stato fatto. Gli affreschi sono stati ripuliti e lavati. I colori sono stati fissati. Non si è ricostruito nulla e tanto meno si sono rifatti i colori e le parti mancanti, al contrario di quanto è stato fatto altrove, a mio avviso impropriamente. Le pitture piacciono così come sono, come le ha lasciate il tempo e come appaiono oggigiorno ai fedeli che si recano nell'Oratorio per la Messa e ai visitatori curiosi di conoscere un monumento che ha segnato la storia delle località di Orlino, Corte e Ligaino. Si apprezzano perché indicano la volontà della gente, i sacrifici fatti per avere la propria chiesa, per preservarla e per abbellirla. Gente povera che nel passato viveva di quanto la terra dava loro. Nulla più. Sono il segno di una forte religiosità e di una profonda fede che per esprimersi al meglio aveva bisogno di immagini, di volti, di una motivazione in più per pregare, per immedesimarsi nei personaggi rappresentati. Lo spazio figurato è incorniciato in stile gotico: una caratteristica della Scuola seregnese che, salvo qualche rara eccezione, troviamo in ogni opera, una sorta di firma: «Un contorno con trafori ornamentali contenuti nella fascetta a fori trilobati e quadrilobati terminanti inferiormente ad archetti acuti». Si nota, tuttavia, come ho già avuto modo di indicare, che nonostante il restauro, i colori di tutti gli affreschi della Chiesina, specialmente di quello esterno, nella lunetta sopra il portale principale, tendono ulteriormente ad affievolirsi. E' quanto appare chiaramente all'osservatore locale e nel confronto fra alcune fotografie scattate prima e dopo l'ultimo restauro. L'umidità è stata il peggior nemico, dovuta sicuramente all'evaporazione superficiale dell'acqua proveniente per capillarità dalle fondazioni delle murature che poggiano direttamente sulla terra. Un fenomeno assai diffuso e marcato, più che altrove, nelle vecchie costruzioni sorte sulle falde del Monte Boglia ricco di sorgenti che facilmente si trasformano, alle prime piogge, in torrenti impetuosi. Il terreno sotto la Chiesina è un terreno umido, percorso nel sottosuolo, anche nei momenti di secca, da rivoli di acqua. E' per un fenomeno fisico che l'acqua viene attirata verso l'alto e s'infiltra nei muri delle case. Tutti i dipinti si sono guastati, alcuni in modo irreparabile. Le alterazioni dello strato pittorico sono qua e là assai irregolari. Alcune parti si sono cancellate completamente, altre, le più significative, perché poste a più di un metro dal pavimento, per fortuna le ritroviamo pressoché indenni. Di queste in generale la stabilità del supporto è buona e l'intonaco ha conservato una sufficiente solidità d'assieme. Talune, si è appurato nel 1968, erano già state oggetto di sporadici e parziali scrostamenti in epoche precedenti. La Crocifissione subì, nel 1915, una lavatura generale che probabilmente favorì l'indebolimento, assai evidente, dei colori. La Crocifissione La Crocifissione è l'affresco di maggior pregio, una delle opere più importanti di Nicolao da Seregno. «Un gran quadro che non dubitiamo di ascrivere al maestro Nicolao..» dice Luigi Brentani in un suo scritto. Anche se di grandi dimensioni (cm 290 x 220), non appare subito, appena entrati in chiesa. È dipinta infatti sulla parete orientale, meno rischiarata dalla luce naturale che filtra attraverso l'oculo. Sarebbe stata eseguita tra il 1470 e il 1480, un po' dopo le pitture fatte dal Seregnese nella Chiesa di San Nicolao a Giornico, a destra nell'abside superiore, ma prima che la Chiesina fosse ampliata. Ci si può chiedere come mai il dipinto più grande e più importante si trovi su una parete laterale. Forse all'inizio c'era l'intenzione di fare qualcosa anche sull'altra parete per completare il quadro simmetrico e prospettico delle pitture del presbiterio chiaramente eseguite antecedentemente. Non se ne fece però nulla: la parete ovest rimase senza decorazioni e un secolo più tardi si decise di modificare in lunghezza e in altezza le dimensioni della Chiesina, alterandone sostanzialmente le linee originarie e modificando la centralità della Crocifissione rispetto alle due capriate. Nel dipinto «...ritroviamo spiccatamente i caratteri stilistici del suo [di Nicolao) fare avanzato, di cui diè prova a Giornico, e non è dato errare attribuendolo alla medesima epoca, cioè alla fine del settimo decennio del Quattrocento. In tal dipinto non pure le istesse forme figurali onde va adorno l'abside della chiesa romanica leventinese, ma medesimamente la stessa sicurezza e spigliatezza di disegno. Il Cristo crocifisso, disegnato con decisione e scorrevolezza di segno, con espressione placida e rassegnata, col capo fortemente inclinato, colle mani mollemente chiuse, ci presenta l'arte di Nicolao da Seregno in tutta la sua padronanza. E dal confronto tra questo e il Cristo in croce di Giornico, ugualmente disegnato, ma più grosso di torace, più pesante e goffo, s'è portati a credere che il dipinto di Orlino sia anche di qualche tempo posteriore» A Giornico il Cristo è tra San Giovanni e la Madonna con il Bambino. Il Cristo in croce di Orlino invece è raffigurato, con la Madonna e il Bambino in trono e San Pietro con il triregno, a sinistra e a destra, i Santi Rocco e Martino. San Pietro regge nella mano sinistra le chiavi del Regno, l'altra è benedicente: il pollice trattiene il mignolo, l'indice e il medio sono tesi verso l'alto (manca però l'anulare: la mano ha un dito in meno). Calza guanti bianchi, aderenti e dalla bordatura alta, le dita sono inanellate. Un tocco in più di voluta eleganza. San Rocco ha il bastone del pellegrino e la borraccia, indica con la mano, sollevando la veste, la piaga sulla gamba sinistra. San Martino, a cavallo, impugna la spada. Il capo leggermente inchinato innanzi in segno di deferenza, dona metà della sua cappa al poverello ignudo ai suoi piedi. «L'inquadramento è il consueto della pittura tardogotica della regione. Nella finestra il tono omogeneo viene tuttavia sostituito da uno sfondo paesistico, un profilo di colline tra i personaggi sulle quali gravano nubi chiare e allungate, forse le tenebre della Crocifissione, sopra le quali è il cielo. (..) Poi la fascia ocra con fregio nero a sciablona tipo Seregnesi. All'esterno, altra cornice rossa con rosetta scura pure a sciablona entro bande verdi»'. La base della croce è ficcata, per assicurarne la stabilità, in un cono di terreno verde come il paesaggio sovrastante. L'attenzione dell'osservatore è attirata dal volto rassegnato, sfigurato dalle sofferenze del Christus patiens. Il capo fortemente reclinato, i capelli cadenti, le ferite sanguinanti, ha da poco, chiamato dal Padre, esalato lo spirito. I lineamenti sono finemente disegnati. A Nicolao non sfuggono i particolari e li cura con perizia. Si destreggia nelle pieghettature del perizoma ricamandone delicatamente i bordi. Nel drappeggio è la leggerezza della seta che sembra mossa dalla brezza del Golgota. Forte è poi il disegno anatomico del torace e delle membra frutto di studio e di una seria preparazione. La Madonna invece è rassicurante, compassata, gioiosa. Delle figure della Crocifissione è la più soavemente espressa. E' messa li quasi fosse un elemento a sé stante, seduta in trono con la corona in testa, in atteggiamento regale; il Bambin Gesù in grembo, si dibatte per attirare su di sé l'attenzione dell'osservatore. E' ricoperta quasi per intero dal manto color celeste-azzurro riccamente bordato, allacciato in alto e cadente con un bel gioco di pieghe sulle ginocchia. Sotto s'intravvede la veste, chiara, ricamata, ripresa in vita da un nastro bianco. Nel suo insieme lo stato di conservazione è assai buono. I colori si sono però indeboliti e tendono, come detto, a diminuire ulteriormente. Il dipinto è molto abraso soprattutto sulla destra: sotto, dalla parte di San Martino, il colore e la figura del poverello sono quasi scomparsi. Un dipinto insolito Sotto la Crocifissione, allineata a destra, nel corso del restauro è apparsa la traccia di un altro dipinto, di 160 cm x 160, che non si è riusciti a ben identificare perché molto rovinato dall'umidità. Ne rimane un insieme di frammenti scialbati e devastati da minuti crateri, segnati da evidenti efflorescenze saline. In considerazione della posizione e per le dimensioni si potrebbe dedurre che il livello del pavimento potesse essere nel passato più basso dell'attuale. In verità si tratta di due quadri verticali accostati e distinti, attorniati, ciascuno, da una cornice dal disegno lineare che sulla destra riprende quello della cornice della Crocifissione segnandone la continuazione". Non si può però escludere che originariamente appartenessero a un'unica scena. A sinistra si scorgono le zampe di un animale. Non si tratta di un cavallo come si potrebbe ritenere a prima vista. Gli zoccoli hanno l'unghia fessa, tipica dei cervidi, la coda lunga terminante a ciuffo. Un vitello o piuttosto un cervo? La figura è protesa verso l'alto; a destra s'intravvede il muso allungato e l'orecchio destro a penzoloni. Sul secondo quadro, invece, appare la figura di un Santo calvo con il pastorale (Sant'Uberto, patrono dei cacciatori, vissuto a cavallo dei secoli VII e VIII? L'interrogativo è d'obbligo perché questo Santo è poco venerato nel Canton Ticino), le vesti sono lunghe tipiche delle figure dei Seregnesi come tipiche sono l'inquadratura e le decorazioni geometriche sul lato sinistro. Il fatto che l'intonaco di questo dipinto si sovrapponga in modo visibile e tattile a quello della Crocifissione rientra nella normale fase esecutiva che prevedeva la realizzazione dei dipinti dall'alto verso il basso. I Seregnesi, si sa, lavoravano a tappe di un giorno: prima dipinsero la Crocifissione, subito dopo quest'altro quadro. La Crocifissione, se si fa astrazione dalle tracce quasi illeggibili dei due quadri sottostanti, è l'unico dipinto della navata. Per il resto sia la parte rimanente della parete est sia interamente quella a occidente sono vuote, intonacate frettolosamente, rese fredde dal grigio del cemento frettazzato. Sono state lasciate così senza nemmeno ridar loro il colore rosa che, pare, le contraddistinguesse nel passato e che avrebbe reso l'ambiente più accogliente. Su quella occidentale, qualche anno fa, furono appese le 14 Stazioni della Via Crucis. Sono quadri a olio su tela di discreta qualità che s'intonano assai bene con l'austerità dell'ambiente e riempiono gradevolmente il vuoto della parete". La Madonna di Orlino Sull'altare, a sinistra dell'arco trionfale, c'è l'immagine della Madonna che allatta il Bambino. Per la gente del luogo è la Madonna di Orlino. E' detta così da sempre. I tratti, a volte duri e incisi, sono quelli della Scuola seregnese. Si ritrovano in altre Madonne disegnate da Cristoforo o da Nicolao, ad esempio a Brusino Arsizio nella Chiesa di San Michele, a Cugnasco in Santa Maria delle Grazie, a Giubiasco nell'Oratorio di Sant Anna, a Melano nell'Oratorio di Castelletto, a Tesserete nella Chiesa di Santo Stefano. Significativa è la somiglianza con la Madonna del latte dell'Oratorio di San Bernardo sopra Monte Carasso. È il dipinto del presbiterio di maggior valore. Risalta con facilità fra le altre significative immagini. Ne esce bene anche nel confronto con la Madonna in trono della Crocifissione anche se è relegato su un piano di minore importanza, quasi ignorato sia da Brentani sia dallo stesso Cajani che sembrerebbe prediligere il San Bernardino del lato opposto. Il presbiterio si eleva rispetto alla navata di un gradino, di sasso, e presenta una simmetria di figure e di colori quasi perfetta, oggi purtroppo interrotta dall'arco, posticcio, del coro che nelle dimensioni primitive doveva apparire in tutta la sua gradevolezza. Presenta un riquadro per facciata e sopra l'arco trionfale primitivo, si suppone su tutta la larghezza, ci sono i resti di un' Annunciazione con l'Angelo annunciante a sinistra e la Vergine annunciata a destra. Il tutto è completato da due pitture su ciascun fronte laterale. Se poi ci si lascia guidare dall'immaginazione si riscopre l'insieme del coro originario con la sequela di Santi - di cui s'intravvedono quello iniziale e quello finale all'imbocco dell'emiciclo - a far da corona all'altare". Si tratta forse di parti del quadro descritto nella relazione vescovile del 1597: «...In pariete est tabula depicta cum imaginibus sanctorum Apostolorum.»? Se ci fosse pervenuto nella sua interezza sarebbe stato un insieme molto armonioso, significativo della migliore Scuola seregnese, non meno pregiato di altre rappresentazioni pittoriche del tardo Quattrocento ticinese. La Madonna di Orlino che allatta il Bambino è una pittura accattivante; un quadro suggestivo di cm 85 x 150 che attrae immediatamente il visitatore al suo primo approccio colpendone l'attenzione per la forza cromatica e la sicurezza dei lineamenti. Racchiusa nel disegno di una nicchia, si distingue per la sua grazia e per l'atteggiamento gentile eppur severo. Più la si ammira e più si è affascinati dalle sembianze signorili e regali, dall'espressione materna che ricorre sovente nelle sue differenti raffigurazioni un po' ovunque nelle chiese dell'area alpina e subalpina. C'è nell'immagine il sentimento dell'amore della madre per il bambino, tanto caro nella nostra cultura popolare. La Madonna è in trono, con la corona, mentre porge il seno. Il Bambino Gesù, già grandicello, ha la chioma bionda; vestito di bianco, le siede sul ginocchio destro, sorretto da una mano mentre con la sua manina sfiora quella della Madre. Il tratto del viso è quello tipico dei Seregnesi. Tondo, lo sguardo fermo, fisso, che non si lascia penetrare. La bocca delicata, piccola, con le labbra ben delineate. Indossa un manto azzurro, aperto, che mostra una veste di color rosso fortemente drappeggiata dalla quale traspare una sottoveste chiara, una camicetta si direbbe, con il disegno di un ricamo e stretta in vita da una fascia bianca. I bordi del manto sono addobbati riccamente. I colori sono vivaci, ben marcati, più che negli altri dipinti. Purtroppo la parte bassa è abrasa, a destra completamente. Dall'altra parte dell'arco c'è San Bernardino da Siena, canonizzato nel 1450, sei anni dopo la morte, e già noto e venerato anche da noi. Il dipinto presenta zone notevolmente rovinate e zone interamente mancanti per la caduta dell'intonaco. Prima dell'ultimo restauro era tagliato in due e incorniciato. Se ne voleva fare un quadro che si distinguesse dagli altri dipinti e che si allineasse a quello della Madonna. L'inquadratura in questo dipinto è lineare, non tipica dei Seregnesi; potrebbe essere stata fatta in un secondo tempo. Curioso è il disegno del viso voltato su un lato, con la guancia cadente segnata da profonde rughe! Sul fronte di sinistra del presbiterio, rotte senza alcun garbo dalla porta della sagrestia", appaiono le figure di Santa Lucia, protettrice della vista, di cui c'è soltanto la parte superiore, e di Sant'Antonio abate di cui restano il volto e il fianco destro. Ambedue sono state guastate dalla scialbatura e dalle incrostature dell'intonaco. Ciò che rimane è però in assai buono stato. Le tinte sono affievolite e nel tempo furono rifinite a tempera. Lo sguardo di Santa Lucia è spento come quello di un cieco - pur essendo stata secondo la tradizione vedente - le pupille vuote, e gli occhi sono dentro un reliquiario posto a destra. Al bastone di Sant' Antonio è appesa la campanella e al centro della parte ricurva della verga appare una gemma circondata di petali bianchi. Dirimpetto la figura triste e orante di una monaca, Santa Chiara d'Assisi, si presume, e quella di San Rocco". La prima si è conservata discretamente bene nonostante l'abrasione dovuta all'acqua che filtrava lungo la corda e la catena della campana che strisciando lungo le pareti hanno lasciato i segni del loro sfregare. La seconda purtroppo si è deteriorata maggiormente, è molto abrasa in più parti e quasi illeggibile. Fra questi dipinti (più o meno delle stesse dimensioni, cm 65 x 150) c'è l'analogia del tratto. Marcato e sicuro è specialmente quello che ha disegnato la Madonna di Orlino, a mio avviso il dipinto più gradevole, anche perché meglio conservato, che si distingue dagli altri; sprizza soavità a chi lo ammira. I volti hanno lo sguardo fisso, la pupilla tonda, ferma, e i tratti sono ripetitivi. C'è in essi, per dirla con Don Marcionetti «...una certa fissità non priva però di acutezza psicologica...» caratteristica dei volti dei Seregnesi. Le vesti drappeggiate ne coprono il corpo, con più o meno sempre le stesse sagomature. Ciò indica che tutto era svolto assai rapidamente. I Seregnesi operarono infatti in numerose chiese, in talune addirittura contemporaneamente. Non potevano rimanere per molto tempo nel medesimo luogo e ciò che iniziavano spesso era completato e terminato dagli aiutanti, per lo più dei mestieranti, che si portavano appresso. Più o meno le figure si ripetono un po' ovunque lungo il loro passaggio: San Rocco, Sant'Antonio abate, Santa Lucia, San Sebastiano, soltanto per citarne alcune. Se la Crocifissione è attribuibile, secondo Brentani, «senza dubbio alcuno» a Nicolao, questi altri dipinti, che si direbbero contemporanei, realizzati, probabilmente, fra il 1470 e il 1480, possono essere di Cristoforo, zio di Nicolao, ma coetaneo del nipote o di qualche discepolo o aiutante. Gli esperti riescono a intravvedere una differente tecnica d'esecuzione: più leggero, delicato e disinvolto Nicolao, più conciso e plastico Cristoforo. La bottega dei Seregnesi era frequentata, più che da pittori veri e propri, da artigiani e muratori che partecipavano alla preparazione dei colori, che completavano le parti già tratteggiate o che si occupavano del trasporto del materiale e dell'allestimento dei ponteggi. Il Coro Cinquecentesco Il coro è il risultato di un rifacimento dell'abside avvenuto, si ritiene, a metà del XVI secolo, antecedentemente in ogni caso al 1578, anno della prima visita pastorale durante la quale, secondo la relazione scritta tramandataci e conservata nell'archivio diocesano, si sarebbe accertata l'avvenuta trasformazione. Il catino primitivo è sostituito da un'abside più alta, a raggiera su una pianta poligonale. L'arco trionfale è sorretto da due lesene. All'altezza dei capitelli dorici, riprendendone il disegno, c'è una linea di decorazione dalla quale si eleva la volta a crociera. L'altare in muratura è sotto, al centro. Poggia direttamente sul pavimento. Potrebbe essere quello originario, rimpicciolito o spostato innanzi. Dietro c'è la statua della Madonna con il Bambino, quattro candelieri di ottone sulla mensola e su ogni lato, sulla parete di fondo, i disegni di due vasi di fiori. Potrebbe trattarsi della Madonna Immacolata come è indicato nel resoconto della visita pastorale del 1698. La Vergine Immacolata era infatti venerata già molto tempo prima che la Chiesa, nel 1854, ne proclamasse il dogma. Nelle lunette ci sono tre dipinti, di uno o probabilmente due autori ignoti, eseguiti a pennello sull'intonaco lisciato con la cazzuola. Riscoperti interamente ed evidenziati durante l'ultimo restauro sono un avvincente esempio di arte popolare, genuina ma di buona levatura, efficace nell'espressione, che riflette pienamente la cultura del tempo e la bravura di questi artisti. Tre figure dai tratti calibrati e armoniosi. Svelano il momento storico nel quale sono state dipinte e pertanto meritano l'attenzione e l'ammirazione dell'osservatore. Sopra l'altare c'è la Santissima Trinità raffigurata dal Cristo in croce, dalla bianca colomba dello Spirito Santo e dall'Eterno Padre. Particolarmente forte è la figura dell'Eterno Padre che riflette nel disegno del volto, con crudezza, la sofferenza per la sorte del Figlio. A destra, la Madonna con il Bambino (la Madonna di Loreto come indica l'edizione 2007 della Guida d'arte della Svizzera italiana?) attorniata dai volti alati di cinque cherubini (da qui anche la possibile denominazione di Madonna degli angioli). Un'immagine non solo bella ma efficace e persuasiva. C'è di più del semplice tratto di un bravo pittore dilettante, c'è una forte sensibilità artistica. Sullo sfondo paesistico appare il frontale alto di una chiesa con il campanile. Si è voluto forse rappresentare la Chiesa grande cioè la Chiesa di Pazzalino con il campanile costruito poco tempo prima? Un'ipotesi plausibile se si considera che secondo la tradizione popolare si faceva sovente riferimento nei dipinti a elementi paesistici reali. il Cristo della Domenica Curioso e allo stesso tempo singolare, sulla lunetta a ovest, «...su uno sfondo azzurro e posta centralmente, la figura dalle fattezze giovanili. Le braccia in posizione orante, il viso contornato da lunghi capelli biondi e dall'aureola. Nessuna stigmate sul corpo a rammentare la Crocifissione» Una figura giovanile colpita da numerosi strumenti di lavoro e oggetti vari quali pugnali, cesoie, falci, spade, punteruoli, martelli, tenaglie, vanghe, compassi... C'è persino un pastorale che però, significativamente, non la colpisce. È una figura assai rara nelle nostre chiese. Secondo il prof. Rinaldo Boldini (mio professore di latino e storia svizzera al Collegio Papio sul finire degli Anni Cinquanta): «non si tratta di una fanciulla martire, anche se certi particolari anatomici suggeriscono una tale identificazione. Si tratta certamente di un Cristo colpito dagli strumenti che profanano il riposo festivo»". Secondo un'altra interpretazione, che non contraddice la precedente, si tratterebbe di una ragazza che rappresenta la domenica, giorno di festa da dedicare a Dio e non da profanare con il lavoro. Più sotto, c'è un vano, incavato nel muro, contornato da profili di sasso e chiuso da due ante di legno. Un tabernacolo si direbbe, anche se nel passato non vi si conservava il Santissimo ma piuttosto, prima della costruzione della sagrestia, il necessario per la celebrazione della Messa. Nella navata ci sono due acquasantiere. Una in pietra naturale (alta 112 cm) è posta a sinistra dell'entrata principale. L'altra, un navello murato, è a sinistra della porta laterale La Madonna con i Santi Pietro e Paolo Di Giovanni Battista Tarilli è il dipinto della lunetta, all'esterno sopra il portale principale. Poggia su una cornice di piastrelle. La pittura è intaccata, a sinistra, per tutta la sua altezza, da una larga crepa che scende dall'oculo. Colmata nel 1915 e consolidata nel 1984 e nel 1990, la fessura è dovuta a un dissesto statico (lo stesso dissesto che provocò più tardi l'inclinazione della parete occidentale della navata). Appare assai abrasa e quasi di difficile lettura. Chiare sono le figure di San Pietro a sinistra e di San Paolo a destra, ossia i Santi patroni della Chiesina. Al centro c'è la Madonna con il Bambino, quasi completamente illeggibile, i colori sono consunti. Traspare comunque la bellezza del dipinto fatto con tratto sicuro da un artista capace. Una tecnica differente da quella dei Seregnesi, più evoluta e più raffinata nel disegno e nella scelta dei colori. La facciata ne resta arricchita e snellita. Susseguente agli affreschi interni, può essere stato eseguito negli ultimi anni del Cinquecento subito dopo la modificazione della struttura della Chiesina. Il Tarilli diede così seguito all'invito, espresso dal delegato vescovile nella visita pastorale del 1591, di decorare l'entrata principale con il dipinto dei Santi protettori: «La faciata è rustica et si doverà imbianchire, et far dipingere il santo sopra la porta». Ci riuscì pienamente abbellendo la facciata, che nel frattempo era stata dipinta di color rosso con bugnato ocra chiaro ai lati.

Immagini della Chiesa di San Pietro di Orlino

San Pietro. La Crocifissione. La Madonna di Orlino. Il coro cinquecentesco. Il Cristo della Domenica . La Madonna con i Santi Pietro e Paolo

Per chi fosse interessato, e' disponibile in versione digitale su ordinazione il volume

"SAN PIETRO DI ORLINO"

Autore GIORGIO PAGANI

Immagini ELY RIVA
libro G. Pagani.JPG

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